Volo Algeri - Illizi con arrivo in prima mattinata, incontro con Michele e partenza per il Oued DJerat.
All’ingresso dell’ Oued ci sarà ad attenderci l’organizzazione locale. Ultimi preparativi nel caricare il materiale sul dorso dei cammelli e iniziamo il nostro trekking.
Esploreremo il canyon passeggiando in un ambiente solitario e grandioso alla scoperta delle migliaia di incisioni di età neolitica presenti nel percorso, inventariate nel numero di circa 4.000 nel 1959 da Henri Lhote, chiamato per redigerne la catalogazione dal Museo del Bardo di Algeri in qualità di massimo esperto del settore.
Le incisioni vennero formalmente scoperte nel 1932 dal luogotenente Brenans, che riportò alcuni rilievi all’allora Conservatore del Museo del Bardo di Algeri, Mr Reygasse, il quale portò alla conoscenza del mondo scientifico la ricchezza archeologica di questo canyon che fà parte del Tassili N’ajjer (dal berbero: “altopiano dei Tuareg Kel Ajjer”).
Vedremo graffiti di elefanti, rinoceronti, Bubalus Antiquus (un erbivoro estinto circa 4.000 anni fa simile al bufalo ma di dimensioni più grandi: fino a 3 metri di lunghezza e 2 di altezza), pesci, struzzi, ma anche figure zoomorfe e l’imperdibile raduno delle giraffe (nonché il più grande graffito della preistoria): dodici animali a grandezza naturale di pregevolissima fattura. Troveremo anche i carri dei Garamanti rappresentati anche nelle incisioni: la zona era lungo il percorso dei loro commerci.
L’oued Djerat è un canyon scavato nella pietra arenaria siluro-devoniana (periodo paleozoico, circa 400 milioni di anni fa) del Tassili esterno o inferiore. Finisce nella vallata d’Illizi, una trentina di chilometri a sud-est di Illizi, nota nel periodo coloniale francese come Fort Polignac e dove si trova uno degli ingressi del Parco Nazionale di Tassili N’Ajjer, massiccio montuoso del deserto del Sahara che si estende per circa 500 chilometri, dichiarato Patrimonio UNESCO.
Le sue fonti si trovano a circa 1300 mt e, dopo un corso di circa 70 km di lunghezza, sbuca a quota 610 mt: questo gli conferisce una pendenza media dell’1%, ma nel corso superiore, a monte del palmeto di Nafeg (punto di ritorno del trekking), la pendenza più accentuata, nell’ordine del 5 %, è all’origine del suo carattere torrentuoso. In media, l’oued (il letto asciutto del fiume) misura 200 metri di larghezza e le sue pareti hanno un’altezza variabile, a seconda dei luoghi, da 25 a 30 metri: all’inizio fino a 150 metri verso il palmeto di Nafeg, per poi diminuire verso le sorgenti. L’oued Djerat riceveva numerosi affluenti che gli apportavano un volume d’acqua considerevole durante la stagione delle piogge, fino a raddoppiarne il volume, i principali sono l’oued Affer e l’Assahor, il primo sulla riva destra ed il secondo sulla riva sinistra. Sembra che circa 3.000 anni fa l’antico fiume si sia prosciugato, questo perchè molte delle incisioni più belle non sono sulle pareti verticali ma sulla base, nei piani orizzontali, dove non avrebbero potuto la pietra in presenza continuativa d’acqua.
Oggi sono presenti alcuni punti d’acqua o guelta, il più importante è a Nafeg, dove ci sono due piccoli palmeti distanziati di circa un chilometro chiamati da Lhote Nafeg superiore e inferiore. Nel primo sono presenti tracce di antiche abitazioni (zeribe) ed alcuni silos per contenere i datteri, i cui muri sono in pietre appaiate e fermate con argilla, internamente annerite. L’argilla infatti veniva “cucinata”, così le pareti diventavano molto dure ed impermeabili, non solamente per resistere alle intemperie ma soprattutto per impedire ai roditori di penetrarvi. Questi granai, ora abbandonati, sono molto antichi e vennero utilizzati anche prima dell’arrivo dei Francesi come ripari segreti per i viveri di riserva. Nelle vicinanze, un piccolo rifugio decorato con pitture in ocra del periodo cavallino dove sono figurate palme da dattero: il tronco del disegno evidenzia che le vecchie palme erano state tagliate e che gli alberi erano perfettamente curati. Accanto è dipinto un carro nello stile del “galoppo volante”: queste differenti pitture sono della stessa epoca, all’incirca un millennio prima di Cristo, siamo quindi di fronte alla più antica testimonianza della cultura della palmerie del Sahara. All’altezza di Aftoun si erge qualche tomba ed una moschea di tipo sahariano, luogo di preghiera frequente per i Touareg Idjeradjeriouen che vengono qui per invocare le piogge. Nel mirhab Lhote rinvenì un blocco levigato di quarzite bianca annerita con nero-fumo: è una pratica in uso fin dal neolitico, si considera così provocare la formazione di grosse nuvole nere, annunciatrici di pioggia.
Lungo tutto il corso inferiore (fino a I-n-Tarik) vi sono delle acacie, poi gli alberi diventano più rari. Vedremo anche delle calotropis, qualche acacia albida, alcune rhus oxyacantha e soprattutto degli oleandri.
Dopo aver percorso tutta la riva destra, proseguiamo il ritorno lungo quella sinistra, ammirando anche da questo lato splendide incisioni appartenenti a diverse epoche (secondo Lhote le più antiche datano oltre 7.000 anni). Pensione completa (pranzi a picnic, cene e pernottamenti al campo in tenda).
Le incisioni sono state classificate da Lhote come quelle del Sahara centrale e, basandosi sulle differenze di patina e sulla tecnica del tratto, vengono così suddivise (in ordine temporale):
- Periodo bubalino: comprende 1060 incisioni (di cui 63 di figure umane), perlopiù di grandi dimensioni, patina grigia dello stesso colore della roccia madre e tratto a “U” (in rari casi a “V”) a volte precedentemente picchettato. Si segnalano una dozzina di casi in cui l’immagine è sormontata da una copia mediocre che sembra essergli contemporanea e sei disegni di animali con gli occhi posti l’uno sopra l’altro. Lo stile è naturalista anche se alcuni animali (giraffe) sono schematizzati. Sono assenti scene di guerra e molto rare quelle di caccia.
- Periodo dei pastori bovidiani o periodo bovidiano: 300 incisioni, generalmente di dimensioni più modeste e di stile più trascurato, patina scura quasi nera. Il numero così ridotto di incisioni raffiguranti bovini ha fatto pensare che l’oued non fosse adatto per il loro pascolo.
- Periodo cavallino: le popolazioni di questo periodo frequentarono la regione molto più dei pastori di bovidi, in quanto lasciarono 420 incisioni oltre a innumerevoli pregevoli pitture di piccole dimensioni. Viene diviso in due sottoperiodi: il primo, analfabetico, caratterizzato dai “carri al galoppo volante”, dai guerrieri armati, figure itifalliche e scene di caccia, ed il secondo, alfabetico, con l’apparizione dei caratteri libico-berberi. La fauna rappresentata comprende giraffe, leoni, bodivi, mufloni, struzzi e cani.
- Periodo cammellino: patina chiara, quasi bianca, contorni irregolari realizzati con una tecnica rozza, di piccole dimensioni.
I primi due periodi sono preistorici mentre gli altri due sono storici.